Adriana-Tudico

Come vento porta via foglie e fiori
e degli alberi verdi, rosa,
i petali, solo, colorano l’asfalto
e nudi rami inneggiano cieli
Così mani rimasero vuote
come occhi persero albe
e cuore stupore
Il sogno dall’alba della vita
rimase chiuso nella mente
poi si dissolse avvolto
dalla nebbia del tempo.

La sera lieve imbrunisce
strade e tetti di case
si posa sull’erba dei prati
Giorni che rincorrono giorni
automi a cui è stata sottratta
l’anima, nel nome del denaro
delle scemenze imparate
e dei binari sui quali camminiamo
Siamo gregge che lotta per rientrare
nella stalla, per un sorso d’acqua
e una manciata di fieno,
i pastori verga nella mano decidono
chi e che sacrificare, se togliere
il sole oppure l’aria,
chiudere bocche o tenerci lontani.
Viene da ridere a vederli affannati
inchinarsi alle fiere alle monete
sonanti, sospendere diritti
e credersi grandi, potenti…
E poi si perdono giovani sui monti
e si torna vicini, si spera e si piange,
non riusciranno a separaci ,
a creare un mondo virtuale,
non ci creeranno perché noi siamo già
Un tuono lontano, la pioggia
e tutto s’allontana, siamo terra
e duriamo un lampo.

Alberi dai rami fioriti
mentre l’alba imbianca i prati
Ancora ore di giorni di anni
tutto uguale e cambiato
Cambiamo noi forti d’aver lottato
e visto e creduto che ci siamo
e ci siamo stati
Ed è stato tanto
Aver imparato a camminare
a tenere sollevato il capo
ad essere grata alla vita
e a ciò che ci ha donato
Intuire la pace nell’orizzonte
sul mare
da una finestra lontana
e riuscire a vivere di rovi
e montagne

Le finestre chiuse
sul freddo dell’inverno
passato,
che gela ancora
l’erba dei prati
La primavera solleva fusti
di fiori,
nuove gemme sui rami
La vita del bimbo che vuole
esplorare,
trovare un rialzo e saltare
diventare grande
E tu che guardi e pensi sarebbe bello
avere ancora due anni
poter cambiare tutto quanto.

Così finivano stagioni
trascinandoci piano piano
e ieri non aveva senso domani
Il vuoto cingeva le spalle
come vuota era dinanzi la strada
Ognuno era insieme, solo,
occupando una stanza
Quella solitudine forzata
era diventata negli anni, normale
Trent’anni dopo era solitudine
imposta dallo stato
Distanziati e imbavagliati

Donne, madri, mogli compagne, amiche
libere come uno slogan settantottino
hanno ottenuto diritti, occupano
posti elevati, possono scegliere
uomini e se dare la vita
Così simili agli uomini
figli dal nido all’asilo al tempo pieno
alle baby sitter, pranzi da asporto
corrono corrono
Ma nel chiuso delle mura, la violenza
è della bimba e del vicino di casa,
del prete ,del compagno e del marito
I diritti esercitati dagli uomini
sul corpo, sulla mente e nella vita delle donne
contano il numero delle vittime annuali
di violenza e morte
Regalate rispetto tutto l’anno
invece di mimose l’8 Marzo

Il Monte dominava
gelido respiro
fin dove cingeva
l’antico lago di
altre montagne.
Mai mi sembrò più tetro
il grigiore della pietra,
nè più spaventoso il gelo della neve
di quei giorni, lunghi, a scrutare il cielo,
il monte, il monte e il cielo
Mentre dieci, venti, trenta salivano la montagna
sfidando burrasche, neve e vento,
cercando dove si perdevano i passi
sotto la valanga
Mai mi sentii più fiera del piccolo paese di Forme,
cinto intorno ai familiari, ai soccorsi
Mai mi sentii più fiera del mio paese
capace di condividere paura, dolore e speranza,
fino all’ultimo giorno
Quando vi hanno trovato
Strade piene, piena la piazza
Vi hanno sorretto sulle spalle,
in chiesa, nella strade,
suonando violini e
piangendo piano.

Cammino ed i passi
calcano orme antiche
che non pensavo attendessero
è passato così tanto
gioia pervade,
niente è scontato,
c’ero e ci sono
ancora.